Aldo Cervo, Giovanni Papini nel Novecento letterario italiano, Ed. Eva, Venafro 2006, pp. 72, € 10.
Riscoprire – o forse scoprire – Papini a cinquant’anni dalla morte. Rileggerlo – o leggerlo – affrancati da una critica quasi sempre avversa perché ideologicamente preconcetta o perché condizionata dall’autorevolezza di giudizi negativi di critici-mostri sacri. Riproporre – o proporre – Papini a una nuova generazione di lettori. Il cinquantenario è l’occasione giusta. Ma per Aldo Cervo – come egli stesso ci racconta nell’introduzione al proprio libro appena uscito dalla tipografia "Giovanni Papini nel Novecento letterario italiano" – lo scrittore fiorentino è stato un riferimento costante per il suo esercizio intellettuale fin da quando, studente universitario, s’imbatté per la prima volta in uno brano di Papini e rimase affascinato dalla suggestiva prosa e dal personaggio che vi era dietro.
La figura di Giovanni Papini, scrittore "poliedrico, irriverente e mordace", per usare tre aggettivi di Cervo, non è mai più uscita dalla sua mente, dalla sua anima, cosí come egli stesso confessa.
Allo scrittore fiorentino fu, tra l’altro, incollata la definizione di "iconoclasta", – parola cui veniva data una connotazione intenzionalmente spregiativa – ma lo fu davvero? Se "iconoclasta" è chi si propone di distruggere idee standardizzate, figure acquisite nella comune mentalità, di simboli acclarati, convenzioni e opinioni proprie di una società, l’intellettuale fiorentino fu non tanto un iconoclasta quanto uno spirito inquieto sempre alla ricerca della verità e forse alla ricerca di sé stesso.
Cervo non scheda da una posizione (politica) preconcetta il personaggio Papini, ma valuta le sue scelte, tenendo conto della psicologia, della formazione e del carattere dello scrittore e anche dell’epoca e degli ambienti che frequentava.
E in ogni caso, al di là del fatto che le scelte siano giuste o sbagliate, va tenuto conto dell’onestà intellettuale e della buona fede con cui le scelte si compiono. Scrive Cervo: "E poi – sia chiaro – nella storia ogni scelta può di volta in volta apparire ora giusta ora errata, e l’unica costante per un giudizio morale – non politico – nel merito rimane solo ed esclusivamente la buona fede. Sicché, se con la scienza del poi si poté imputare al Papini di non aver capito il Fascismo, si dovrebbe oggi, in nome della medesima scienza imputare a tanto neorealismo rosso di non aver capito il Comunismo sovietico, che si era tentato di importare in Italia da parte dei congressisti di Livorno, del 1921, e che ancora nel 1948, per il suo volto staliniano, dichiaratamente totalitario oltre che materialistico e anticattolico, legittimò, nelle prime elezioni politiche, l’interferenza filo-occidentale del Vaticano e delle sue periferiche gerarchie".
È un Papini inquieto – e fors’anche inquietante – mi sembra, quello che Cervo ci offre in questo volume.
"La sua singolare figura [...] – scrive – alla maniera di un Aristarco Scannabue formato ’900, ha beneficamente demolito santuari ammuffiti del mondo accademico". E Cervo stesso ci chiarisce il proprio intendimento con la pubblicazione di questo testo: si propone di "tentare una collocazione complessiva del Papini letterario. E sulla base di quanto s’è rilevato e detto, sembra potersi convenire nell’inquadrare lo scrittore all’interno di quel filone estremamente complesso della letteratura psicologica, decadente nella genesi, che partendo dal Fogazzaro, e passando attraverso Pascoli, si srotola lungo la direttrice Pirandello-Svevo, contaminando di sé Crepuscolarismo, Futurismo, Ermetismo e anche parte del Neorealismo pre e post bellico". Tutto è ovviamente opinabile, ma questa conclusione cui arriva Cervo sembra condivisibile, se non altro perché maturata attraverso decenni di lettura, se non di studio, delle opere di Papini.
Aldo Cervo è autore già noto ai lettori. Sono una decina i libri pubblicati e possiamo dire che ha maturato un suo personale registro stilistico, riconoscibile non solo nei libri di narrativa (una pietra miliare il suo "Autunno di Montalba") ma anche quando mette la sua penna al servizio della saggistica. Una scrittura sempre scorrevole e gradevole, comunque sempre sorvegliata e, dal punto di vista scientifico, rigorosa.
Amerigo Iannacone