Giudizio Universale | ||
Giudizio Universale con Presentazione non firmata, citazioni Dal "Diario" dell'Autore e, a fine libro, Notizie sui personaggi storici e Indice cronologico delle composizione dei capitoli, Firenze, Vallecchi, 1957, poi, in Scritti Postumi, volume X, tomo I di Tutte le opere, Milano Mondadori, 1966 (le citazioni sono tratte da questa edizione che, peraltro, secondo l'Avvertenza "non fa che ripetere fedelmente quella del Vallecchi"). Nel 1999 è stata pubblicata, dalla casa editrice tedesca dtv una scelta di 22 capitoli con il doppio titolo Davanti al Tribunale di Dio - Italienen vor dem Jüngsten Gericht con testo in italiano e traduzione tedesca di Ina-Maria Martens e Emma Viale-Stein.
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copertina dell'edizione tedesca
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L'opera è frutto del riordinamento da parte dei curatori della casa editrice Vallecchi dei manoscritti risalenti in massima parte al periodo che va dal settembre 1941 al luglio 1945, con pochi capitoli scritti nel biennio 1951-52. Nell'insieme si compone di un Prologo, in cui è presentato il paesaggio (Nuovo cielo, nuova terra) in cui il Giudizio è cominciato "forse da pochi attimi, forse da migliaia di giorni", 329 capitoli in cui un personaggio, storico o immaginario, invitato da un Angelo, parla di sé, e 21 Cori. Non c'è epigrafe ma se volessimo aggiungerne una non troveremmo nulla di più appropriato delle parole del conte Ugolino nel canto XXXIII dell'Inferno: Ben se' crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che il mio cor s'annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? Il mondo è terminato "come un sogno interrotto", il sole spento, la luna disfatta, "la vecchia terra" sfaldata. "Tutti siete risorti, tutti siete eterni; soltanto la morte è per sempre morta. Il grande esperimento terrestre è conchiuso, la umana prova è al termine". E in questo momento, in cui tutto quello che si è compiuto non può più mutare né nascondersi, tutti sono invitati a difendersi o accusare prima di presentarsi davanti "a Colui che vi chiamerà alla luce della eterna presenza o vi abbandonerà alle tenebre dell'eterna assenza". Difendere o accusare s'è detto e infatti sbaglierebbe chi pensasse di trovare in quest'opera una lunga e certo monotona processione di anime impegnate a trovare giustificazioni al proprio operato e a intonare "mea culpa" pietosi. Se è vero che molti sono coloro che invocano pietà e si rimettono al giudizio divino, non mancano coloro che, come Stirner per esempio, cominciano il proprio intervento con "Né rimorsi né pentimenti" e anzi rovesciano i ruoli ergendosi a "accusatore di Dio, il giudice di Dio" proclamandolo "ingiusto, spietato, persecutore". Oppure come Dauryll che afferma "Non riconosco a Dio il diritto di giudicarmi". Non manca neppure chi sceglie il silenzio: "i miei peccati sono troppo orribili, tali da scoraggiare anche la misericordia divina ... non chiedo pietà né perdono né remissione...Altra carità non ti chiedo che di concedermi di tacere (Annie Hopeland, pag. 374-5) o chi nulla chiede se non "di essere lasciato in pace, da Lui, da te, da tutti" (Torribio, pag. 818). Altri, invece, chiedono giustizia per una vita in cui non hanno goduto di alcun bene né ricevuto consolazioni: "vissi in un miserabile villaggio miseramente accucciato in una cavità della pianura, simile a nido di vespe in una buca di fango secco" (Harimendra, pag. 478), "tristemente finì la mia triste vita" (Doris, pag. 483), "non feci mai nulla di male ...Un giorno, senza ch'io abbia mai saputo il perché, fui preso ed ucciso ...Non so quanti secoli son passati da quel giorno ma il mio cuore non sì è rassegnato, la mia bocca è gonfia d'interrogazioni, i miei orecchi aspettano sempre una risposta. Non ho forse diritto di chieder conto del mio sangue, non è questo il giorno della giustizia? Io non son qui per rispondere ma per chiedere. Sono un creditore di Dio e attendo d'esser pagato" (Soudreau, pag. 493-4) e ancora "Non son forse, oggi il suo creditore? Come potrà giudicarmi? Con qual diritto potrà condannarmi? Sono io che aspetto da centinaia di secoli alla sua soglia. Aspetto che illumini, finalmente, l'atroce mistero di quella mia sciagurata apparizione nel mondo. Aspetto la giustificazione della mia inutile e misteriosa tortura" (Antero Magall, pag. 811). A volte è l'Angelo che dà qualche risposta: "La tua innocenza non era già un altissimo premio? La tua vita fu breve e infelice ma la brevità non era forse una grazia? E l'infelicità non era forse una promessa di beatitudine?" (pag. 812). Ma la varietà degli accenti e delle figure presentate è veramente senza fine e impossibile elencarli tutti. Da rimarcare però, come fra i personaggi storici, le scelte di Papini non di rado sorprendano per la presenza fra di esse di figure tramandate a noi con pochi tratti che ne hanno fatto dei manichini senz'anima e che, invece,con le parole che Papini fa pronunciare loro, acquistano una luce che ce li rivela come mai nessuno ce li ha presentati (un esempio per tutti il padre di San Francesco, Pietro di Bernardone). Ma ognuno, sia vissuto ignoto agli altri uomini o osannato in vita, sia stato filosofo o pittore, condottiero o poeta, concorre a formare una visione drammatica del mondo.
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