Primo Conti

Primo Conti,  Firenze, Arnaud Editore, 1947

 

 

 

 

Copertina della prima edizione

 

La sera del 6 dicembre 1913 Primo Conti torna a casa con un prezioso cimelio, una cartolina raffigurante il quadro di Soffici, Sintesi di un pasesaggio autunnale, con una dedica di Giovanni Papini: Al più giovane e al più intelligente visitatore dell'Esposizione Futurista.

Primo Conti ha tredici anni ed è stato forse veramente il più intelligente visitatore della mostra che il gruppo di Lacerba ha organizzato a Firenze nelle sale di via Cavour.

I fiorentini, come già tre anni prima, quando Soffici aveva organizzato una mostra di impressionisti francesi e portato per la prima volta in Italia un'opera di Picasso, avevano mostrato di apprezzare poco gli artisti più moderni. Allora, la ventina di tele che Soffici si era fatto mandare dal gallerista francese Duran-Ruel, i Degas, i Pissarro, i Monet, i Renoir, tornarono tutti indietro. Tre anni più tardi con i quadri di Boccioni, Severini, Carrà, Balla, Russolo e dello stesso Soffici i risultati non furono molto diversi.[1] Gli entusiastici commenti che questo ragazzino grida ad alta voce colpiscono l'attenzione di Papini che vuole sapere tutto su di lui. E, dal canto suo, Primo Conti, anzi, Umberto Primo Conti[2] si accampa nei locali della mostra ammirando e studiando le tele e parlando con i pittori presenti. Conti ha tredici anni ma può chiamarli colleghi in quanto già da un anno segue lezioni di disegno e dipinge in uno studio che gli 'illuminati' genitori hanno affittato per lui in piazza Savonarola. Studio dato in premio a Primo o, piuttosto, estorto dal ragazzino al padre facendo leva sui brillanti successi di violinista in erba. Il percorso artistico dell'enfant prodige sarà lungo e ancora nel 1947, quando esce questo volume monografico Papini scrive: «La sua storia artistica, benché egli sia ancora lontanissimo dalla vecchiezza, è già lunga ed egli ha già consumato e bruciato, nelle tappe d'un viaggio intrapreso nella prima fanciullezza, molti dei possibili errori. Quel cammino non è ancora compiuto – fermarsi, in arte, è sinonimo di decadenza – ma non poche di queste ultime opere, dove la luce della materia pittorica si solleva talvolta a luce spirituale, ci assicurano che Primo Conti procede ormai sopra una strada che sale». Primo Conti vivrà fino al 1988 e alla sua morte Villa Le Coste, l'ultima sua residenza, diventerà sede della Fondazione che porta il suo nome, di un museo che raccoglie molte sue opere nonché di vari archivi storici fra cui proprio quello di Giovanni Papini (si veda il sito della fondazione: http://www.mega.it/primo.conti/contiho.htm).


 


[1] Si veda il capitolo "L'esposizione di pittura futurista a Firenze" in Alberto Viviani, Giubbe Rosse, Vallecchi, Firenze 1983.

[2] L'idea di chiamarmi Umberto Primo venne a mio padre in un impulso del suo cuore sofferente per l'uccisione del Re, avvenuta per mano dell'anarchico Bresci nello stesso anno della mia nascita. Era naturale che non piacesse a Giovanni Papini: «Il suo nome – mi disse poco dopo avermi conosciuto nelle sale della mostra di "Lacerba" – si richiama al periodo più mortificato e mortificante della nostra storia nazionale, e lei dovrà darci qualcosa di molto grande per farcelo dimenticare!» (Primo Conti, La gola del merlo, Sansoni, Roma 1983, p. 17).