Civiltà cristiana?
I beni intonati baritoni e bassi delle lamentazioni europee finiscono col formare un coro a più voci che si chiude sempre con lo stesso appello o piuttosto ritornello: - Bisogna salvare la civiltà occidentale, la nostra civiltà cristiana.
Ma questa civiltà dell’Occidente ha tutte le carte in regola per quanto si riferisce al cristianesimo?
In questa preziosa e gloriosa civiltà, tanto per cominciare, vediamo che i governi di tutti gli stati spendono e consumano una enorme quantità di quei miliardi che il fisco riesce a farsi consegnare dai cittadini, per fabbricare o comprare macchine sempre più spaventose, sempre più adatte a ridurre gli uomini giovani e sani in corpi miseramente mutilati o in cadaveri dilaniati e straziati. Il primo pensiero di tutti i governi e di tutti i regimi è di possedere un numero sempre più grande di queste macchine omicide e che esse possano compiere la loro opera di sterminio nel minor tempo possibile ma con il massimo numero di vittime al minuto o all’ora.
I cittadini devono dunque consacrare una gran parte del loro lavoro e del loro ingegno per fornire i mezzi necessari al possesso di quelle macchine destinate, più presto o più tardi, a distruggere i loro beni, i loro fratelli e, forse, le loro stesse vite.
Eppure, in tutti questi paesi, si insegnano ai bambini e agli adulti i comandamenti di Dio tra i quali uno dei più imperativi è certo quello che dice: «Non uccidere».
Eppure, in questi paesi, si fa leggere tutti i giorni il Vangelo nel quale lo stesso Figlio di Dio ha proclamato che l’uomo che maledice in cuor suo il fratello è già omicida.
Una civiltà che smentisce, rinnega e calpesta in modo così assurdo e feroce uno degli insegnamenti essenziali del cristianesimo ha il diritto di chiamarsi cristiana?
E se non è cristiana, ed è, anzi, l’opposto del vero cristianesimo, è lecito attribuirle quel nome usurpato per salvare un mondo che obbedisce, senza accorgersene, ai comandamenti più disumani dell’Anticristo?
Giovanni Papini, Le felicità dell’infelice, Vallecchi Firenze, 1956, pagg. 184-185
© I contenuti di questa pagina sono proprietà letteraria riservata e protetti dal diritto d'autore. Vietata la riproduzione.